Mar 8, 2021 / by Lorenzo Moro / In Blog
Qualche anno fa uscì uno spot, di un noto brand di merendine, che vedeva una bambina tediare la madre con richieste assurde e quest’ultima replicare con “ma amore, non esiste, è più facile venire colpiti da un meteoriSBOM” e la povera donna veniva centrata in pieno da un asteroide lasciando la bimba esterrefatta e, finalmente, zitta.
Partendo dal fatto che, anche volendo essere pignoli, le probabilità di essere centrati e uccisi da un oggetto spaziale sono di 1 su 1.600.000 (per chi non se ne intende, poche), dalla messa in onda di quello spot scaturì una polemica feroce, inaudita e di una sterilità cosmica.
Da un lato quelli – come il sottoscritto – dotati di sarcasmo e ironia e capaci di capire che “è solo una pubblicità. E fa anche ridere”, dall’altro quelli che ”e chi pensa ai bambini!” “Povera creatura” e chi più ne ha, beh, più ne metta. Le proteste montarono fino a far arrivare il caso ai tg, finalmente felici di poter costruire un nuovo servizio facendo affidamento su “il popolo di internet ha deliberato [aggiungere scemenza a caso]”, riportando testimonianze di bambini rimasti sotto shock, genitori preoccupati e una nota casa produttrice di merendine a domandarsi “ma cazzodite per bacco, siete seri??”.
Questo caso, preso volontariamente come emblematico, la dice lunga – lunghissima potremmo dire, ma mi hanno insegnato a non usare i superlativi assoluti – sul moderno mondo della comunicazione e il concetto stesso di qualità della comunicazione.
Di chi è la colpa? Della merendina, dell’asteroide, dell’agenzia che concepito l’idea, o del pubblico a cui è arrivata? Prendiamo in analisi queste ultime due opzioni, che qui di astrofisici ce ne sono pochi e di pasticceri ancora meno.
Potrebbero aver sbagliato i creativi, ingenuamente, a pensare di aver a che fare con un pubblico sufficientemente intelligente e sarcastico da poter capire quello spot. Uhm, lo diceva anche papa Pio IX, “A pensar male del prossimo si fa peccato, ma si indovina” . La colpa forse è anche della stessa azienda produttrice delle merendine, ad aver scelto fra il ventaglio di opzioni questa con l’asteroide: noi non sappiamo quali erano le altre proposte arrivate alla suddetta azienda, ma quest’ultima, forse stufa della comunicazione standard colazione-famiglia perfetta-tutto bello-wow, ha scelto la via della diversità. Noi vediamo il merito dell’agenzia che invece che presentare al cliente la solita tiritera vista e rivista, trita e ritrita, uguale a mille altri spot uguali di cui nessuno si ricorderà mai, ha messo sul tavolo qualcosa di diverso, di sfrontato. Qualcosa che non vada ad incensare senza alcun rimorso l’ennesimo prodotto perfetto ma che giochi sull’ironia e sull’intelligenza del pubblico.
Da premiare fu la scelta del produttore delle merendine perché, in fin dei conti, sarebbe fin troppo facile puntare il dito contro i creativi, come unici responsabili delle schifezze che spesso ci capitano sott’occhio. I pubblicitari, volenti o nolenti, si devono rifare ad un cliente il quale, tropo spesso, ha poche idee e per di più confuse. Chiunque abbia mai fatto anche solo un volantino per suo cugino mi capisce.
E qui subentra anche il carattere e la capacità delle agenzie di comunicazione nel dirottare le volontà delle aziende verso progetti di qualità, progetti irriverenti e intelligenti. Un noto regista romano ne sa qualcosa.
E poi, infine, c’è la questione “pubblico”: “Ci state dicendo che la colpa è del pubblico?” Sarebbe fin troppo facile e superficiale gridare “la gente è stupida!”, mentre sarebbe molto più interessante e costruttivo andare ad analizzare il modo in cui è stata educata alla comunicazione la massa (si chiamano mass media no?). Anni di spot televisivi fatti con lo stampino, di creatività zero, diciamolo, robaccia.
È una infinita guerra al ribasso per accontentare la parte centrale della gaussiana la quale, invece, in un utopico mondo ideale, andrebbe educata, istruita, presa a botte di qualità e, cari miei giornali che dopo non sapete più cosa scrivere, ignorata.
Nella serie TV Boris, una delle cose più belle e irriverenti mai trasmesse, in una puntata si accenna alla locura, che in una parola sola, riassume tutto quanto appena scritto.
[… Io parlo della locura Renè, la locura. La pazzia, che cazzo Renè, la cerveza, la tradizione, o “merda” come la chiami tu, ma con una bella spruzzata di pazzia! Il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes. In una parola: Platinette. Perché Platinette, hai capito, ci assolve da tutti i nostri mali, dalle nostre malefatte. Sono cattolico, ma sono giovane e vitale perché mi divertono le minchiate del sabato sera. È vero o no?! Ci fa sentire la coscienza a posto Platinette! Questa è l’Italia del futuro: un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte. ]
Ecco il moderno mondo della comunicazione, la locura: una comunicazione bassa e un pubblico che tutto subisce.
Ora, senza entrare nel merito dei traumi psicologici che una bambina possa avere dopo aver visto la propria madre polverizzata da un meteorite, il concetto è che, se ci fossero più spot di quel tipo – ovvero ironici, sagaci, che non trattano lo spettatore come un bambino infilandogli il cucchiaio in bocca facendo il verso dell’aeroplano – magari vivremmo in un mondo un filo migliore, nel quale le persone, le aziende, la massa, ricomincerà a prendersi meno sul serio e sarà capace di discernere quel che è giusto da quel che è sterile, quel che è bello da quel che è oggettivamente brutto, quel che merita di essere ricordato da quel che è, in fin dei conti, spazzatura.
E poi, per chiudere, se è vero che i latini dicevano Ubi Maior, Minor Cessat, c’è solo una cosa da fare: che la comunicazione ritorni Maior, coraggiosa, intraprendente fantasiosa e senza paura.
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